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- Nel maggio 2024, il sovraffollamento sull'Everest ha causato un drammatico incidente sull'Hillary Step, con il crollo di un cornicione di neve e ghiaccio.
- Almeno due alpinisti sono dispersi a seguito del crollo del cornicione sull'Hillary Step, evidenziando i pericoli legati al sovraffollamento e alle condizioni instabili.
- Lo scioglimento dei ghiacciai dovuto al cambiamento climatico sta portando alla riemersione dei corpi di alpinisti deceduti, con cinque corpi congelati già recuperati e trasferiti a Kathmandu.
- Il recupero di un singolo corpo sull'Everest può costare migliaia di dollari e coinvolgere fino a otto persone, sottolineando la complessità e i rischi delle operazioni di soccorso in alta quota.
L’ascensione all’Everest, la vetta più alta del mondo, si conferma un’esperienza tanto ambita quanto perigliosa. Nel maggio del 2024, una situazione di sovraffollamento ha trasformato l’Hillary Step, una parete rocciosa quasi verticale a 8.800 metri di quota, in un collo di bottiglia. Centinaia di alpinisti si sono trovati bloccati, mentre un cornicione di neve e ghiaccio cedeva, innescando una serie di eventi drammatici.
Il crollo del cornicione e le sue conseguenze
Il distacco del cornicione, una massa di neve indurita sporgente oltre il bordo di un precipizio, ha avuto conseguenze immediate e potenzialmente letali. Secondo testimonianze dirette, il crollo ha trascinato con sé alcuni alpinisti, causando la scomparsa di almeno due persone, probabilmente un alpinista britannico e una guida nepalese. Vinayak Malla, guida IFMGA, ha descritto l’esperienza come diversa dalle precedenti, sottolineando la lentezza del traffico sull’Hillary Step e l’improvviso crollo del cornicione a pochi metri di distanza. Quattro alpinisti sono stati salvati dalle corde di sicurezza, ma diversi hanno riportato ferite.

Il cambiamento climatico e la riemersione dei corpi
Parallelamente alle sfide immediate poste dai pericoli naturali, l’Everest sta rivelando un’altra tragica realtà: lo scioglimento dei ghiacciai dovuto al cambiamento climatico sta portando alla riemersione dei corpi di alpinisti deceduti nel corso degli anni. Una squadra specializzata è stata incaricata di recuperare questi resti, in un’operazione macabra e rischiosa. Sono già stati recuperati cinque corpi congelati, alcuni dei quali in stato scheletrico, e trasferiti a Kathmandu per l’identificazione. I corpi non identificabili saranno probabilmente cremati. Aditya Karki, maggiore dell’esercito nepalese a capo della squadra, ha sottolineato come la diminuzione della copertura nevosa renda sempre più visibili corpi e rifiuti.
Le sfide del recupero e i “segreti” dell’Himalaya
Il recupero dei corpi in alta quota è un’operazione complessa e costosa, che richiede risorse significative e mette a rischio la vita dei soccorritori. Un singolo recupero può costare migliaia di dollari e coinvolgere fino a otto persone. Il trasporto di un cadavere, che può pesare oltre 100 chili, è estremamente difficile in condizioni di scarsa ossigenazione e temperature estreme. Nonostante le difficoltà, Karki ritiene che sia un dovere riportare a valle il maggior numero possibile di corpi, per evitare che le montagne si trasformino in cimiteri. L’Himalaya continua a custodire i suoi segreti, come la sorte della macchina fotografica di Andrew Irvine, compagno di cordata di George Mallory, che potrebbe riscrivere la storia dell’alpinismo.
Un imperativo etico: onorare la montagna e i suoi caduti
La situazione attuale sull’Everest solleva interrogativi profondi sull’etica dell’alpinismo moderno. Il sovraffollamento, i pericoli naturali e l’impatto del cambiamento climatico mettono a dura prova l’ambiente montano e la sicurezza degli alpinisti. La riemersione dei corpi dei caduti ci ricorda la fragilità della vita in alta quota e l’importanza di onorare la montagna e la memoria di coloro che l’hanno sfidata.
Amici appassionati di montagna, riflettiamo un attimo. L’Everest è un simbolo, un sogno per molti, ma anche un luogo di estrema difficoltà e pericolo. La notizia di oggi ci pone di fronte a una realtà complessa: da un lato, l’attrazione irresistibile della vetta, dall’altro, le conseguenze del sovraffollamento e del cambiamento climatico.
Una nozione base di alpinismo ci insegna che la preparazione fisica e mentale, la conoscenza del terreno e la capacità di valutare i rischi sono fondamentali per affrontare una montagna come l’Everest. Una nozione più avanzata ci ricorda che l’alpinismo non è solo una sfida personale, ma anche una responsabilità verso l’ambiente e verso gli altri alpinisti.
Forse è il momento di ripensare il nostro rapporto con la montagna, di abbandonare la logica della competizione e del record, e di riscoprire il valore del rispetto, della solidarietà e della consapevolezza. Solo così potremo continuare a sognare l’Everest, senza dimenticare chi ha perso la vita nel tentativo di conquistarlo.