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- Il 26 febbraio 2016 segna la storica conquista invernale del Nanga Parbat da parte di Simone Moro, Alex Txikon e Ali Sadpara.
- Cinque squadre diverse erano presenti al campo base durante il periodo invernale 2015/2016, ma solo la squadra di Moro, Txikon e Sadpara ha raggiunto la vetta.
- La spedizione ha affrontato temperature glaciali e venti estremi, con un'ascensione finale iniziata il 22 febbraio e culminata il 26 febbraio.
Un Traguardo Storico: La Prima Invernale del Nanga Parbat
Il 26 febbraio 2016 segna una data storica per l’alpinismo mondiale: Simone Moro, Alex Txikon e Ali Sadpara conquistano la vetta del Nanga Parbat in inverno, un’impresa che ha resistito per decenni agli assalti dei migliori alpinisti. Questa montagna, alta 8126 metri e situata in Pakistan, è nota per la sua pericolosità e difficoltà, tanto da essere soprannominata “montagna assassina”. La conquista invernale del Nanga Parbat ha riportato l’alpinismo sulle prime pagine dei giornali, un successo che ha richiesto una combinazione di preparazione meticolosa, resistenza fisica e mentale, e una buona dose di fortuna con le condizioni meteorologiche.

Le Sfide della Spedizione Invernale
Il periodo invernale del 2015/2016 ha visto un notevole numero di spedizioni dirigersi verso il Nanga Parbat; erano infatti presenti ben cinque squadre diverse al campo base. Si distinguevano tra queste la cordata composta da Simone Moro insieme a Tamara Lunger; la squadra franco-polacca formata da Tomek Mackiewicz ed Elisabeth Revol; nonché l’equipe internazionale comprendente Alex Txikon, Daniele Nardi e Ali Sadpara. Affrontare l’inverno himalayano implica necessariamente possedere un’ infinita pazienza accompagnata da una straordinaria resistenza. Gli alpinisti si sono trovati a fronteggiare non solo venti ghiacciati ma anche temperature decisamente basse, oltre alla continua possibilità di valanghe. Eppure, malgrado tali sfide immani che si sono presentate lungo il cammino, l’ardore e lo spirito collaborativo dei membri del gruppo hanno reso possibile attrezzare efficacemente la via fino al terzo campo d’altitudine, predisponendo così le basi per un eventuale trionfo nella scalata finale.
La Salita alla Vetta
La squadra formata da Moro, Txikon e Sadpara ha intrapreso la sua avventura dal campo base in data 22 febbraio, approfittando di una breve parentesi di condizioni meteorologiche favorevoli. Dopo aver conquistato il secondo accampamento situato a 6200 metri, si è trovata costretta ad affrontare una tempesta che le ha impedito di procedere per un’intera giornata. Solo con l’arrivo del sole nel tardo pomeriggio del 24 febbraio, sono potuti ripartire verso l’alto fino al terzo rifugio posizionato a 6700 metri; e in seguito all’indomani hanno superato anche il quarto campo collocato a 7200 m. A questo punto della loro ascensione mancavano all’obiettivo finale solo circa mille metri; tuttavia le problematiche legate alla scarsità dell’acclimatazione rappresentavano un elemento inquietante per gli alpinisti. Inaspettatamente però – sfidando ogni prognosi – nella giornata del 26 febbraio, Simone Moro insieme ai suoi compagni Alex Txikon e Ali Sadpara tagliarono simbolicamente l’ultimo traguardo sul picco principale; sebbene Tamara Lunger preferì ritirarsi saggiamente a soli 190 metri dalla vetta massima visibile ai più come noto – manifestando così notevole discernimento nell’accettare le proprie limitazioni fisiche.
Riflessioni sull’Alpinismo Invernale
La conquista del Nanga Parbat in inverno rappresenta un trionfo dell’alpinismo moderno, un’impresa che richiede non solo abilità tecniche, ma anche una profonda comprensione delle dinamiche di squadra e delle condizioni ambientali. Questa realizzazione ha aperto la strada a nuove sfide, come la prima invernale del K2, completata nel gennaio 2021 da una squadra nepalese. La storia del Nanga Parbat è ricca di successi e tragedie, un monito costante delle forze implacabili della natura.
In montagna, la nozione di “acclimatazione” è fondamentale. Gli alpinisti devono adattarsi gradualmente all’altitudine per evitare il mal di montagna acuto e altre complicazioni. Questo processo può richiedere settimane e spesso determina il successo o il fallimento di una spedizione.
Un concetto avanzato nell’alpinismo è lo “stile alpino”, che prevede salite rapide e leggere senza l’uso di corde fisse o campi preinstallati. Questo approccio, sebbene più rischioso, è considerato il massimo dell’etica alpinistica, poiché riduce l’impatto ambientale e aumenta la sfida personale. Analizzando tali esperienze, emerge chiaramente come l’alpinismo rappresenti un incessante atto di scoperta dei confini dell’essere umano. Questo cammino esige non soltanto una notevole energia corporea, bensì anche un’intensa interazione con l’ambiente naturale e una venerazione sostanziale nei confronti delle vette montuose.